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Cosa sono le Unità Pastorali

Cosa sono e a che cosa servono le Unità Pastorali

Si tratta di un termine nuovo e ancora sconosciuto a molti. La pastorale d'insieme è esigenza connaturata con la Chiesa, quale realtà di comunione, e a tutta la sua missione e azione evangelizzatrice. Tale caratteristica dell'azione pastorale  
si presenta come particolarmente necessaria e urgente tra parrocchie vicine. Essa, infatti, permette di realizzare un'azione pastorale più coordinata e unitaria nello stesso territorio.

Estratto dal documento: LE UNITA’ PASTORALI – Orientamenti e norme – ediz.  2009
Severino Card. Poletto Arcivescovo di Torino


Prima di indicare orientamenti operativi per tutta la diocesi, vista la diversità di significati tutt’ora attribuita in modo arbitrario anche nella nostra Chiesa alle Unità Pastorali, mi sembra necessario riproporre nuovamente i tratti che costituiscono l’identità e i compiti originali delle Unità Pastorali sui quali, tutti, gradualmente, dovremmo convergere.
Li raggruppo in quattro parole-chiave che sono: comunione, missione, territorio e ministerialità  diffusa.
Sono gli stessi tratti che contrassegnano la vita di ogni comunità parrocchiale. E non può che essere così. Ma essi vanno “coniugati” nella prospettiva originale delle Unità Pastorali che ho indicato in apertura.  

Essi non vanno separati, ma devono essere coniugati insieme, sia quando vengono realizzati nella vita di ogni parrocchia come pure quando vengono applicati alla dimensione originale delle Unità Pastorali.

a) Per “comunione” tra parrocchie vicine della stessa Unità Pastorale si intende quel valore fondamentale della Chiesa, che è la compresenza di ministeri, doni e carismi diversi (di cui anche la nostra Chiesa è ricca) uniti nello sforzo di convergere attorno ad un progetto interparrocchiale comune e condiviso di evangelizzazione del territorio.  Giovanni Paolo II nella Esortazione apostolica Christifideles laici (CfL) scrive: “Ora la comunione genera comunione, e si configura essenzialmente come comunione missionaria […].  La comunione e la missione sono profondamente congiunte tra loro, si compenetrano e si implicano mutuamente, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione” (CfL 32).

Le Unità Pastorali non sono un fatto individuale, personale, ma di Chiesa. Sono espressione della Chiesa locale  che sceglie di operare facendo convergere tutte le risorse di gruppi di parrocchie vicine attorno alla finalità missionaria, in modo da dare vita ad una pastorale “omogenea” e cioè a decisioni e azioni pastorali, seppur contraddistinte da modalità diverse, valide e praticate da tutte le parrocchie su quel territorio con l’unico intento di fare in modo che Cristo venga annunciato (Cfr. Fil 1,18).
Va da sé che un’azione  come quella indicata non nasce e non si sviluppa sulla base di “slogan”, ma esige qualche cosa di più robusto e cioè il “cambio” di mentalità, un cammino perseverante, a piccoli passi, paziente e determinato di “conversione” della propria idea di pastorale e di convergenza verso una idea nuova che, proprio perché non è proprietà di nessuno, diventa una opportunità che può unificare  tutti.
Non solo, postula anche la consapevolezza che la teologia dei ministeri è un tutto in cui, in forza del principio di sussidiarietà, le diverse componenti interagiscono, si sostituiscono qualora sia necessario – senza snaturare i ruoli e i compiti di ognuno – per poter continuare a camminare nella direzione del vero bene comune.
Questa è anche la legge di un’agire pastorale che intenda fare sistema.

b) Per “missione” tra parrocchie vicine di una stessa Unità Pastorale si intende il compito irrinunciabile che il Signore ha dato alla sua Chiesa, pena la propria infedeltà, di comunicare a tutti il messaggio di salvezza del Regno.  “Andate in tutto il mondo – dice Gesù – e portate il messaggio del vangelo a tutti gli uomini” (Mc 16,15).
Ferma restando la chiamata sostanziale alla missione, è altrettanto chiaro che, da sempre nella vita della Chiesa, diverse sono le modalità “solidali” messe in atto per realizzarla. Dicono ancora i vescovi italiani: “La missionarietà della parrocchia è legata alla capacità che essa ha di procedere non da sola, ma articolando nel territorio il cammino indicato dagli orientamenti pastorali della diocesi e dai vari interventi del vescovo” (VMP 11).
Da questa prospettiva, una parrocchia che stimola continuamente i propri membri attivi (persone, gruppi…) a guardare oltre se stessi, i propri appartenenti, i propri amici credenti per uscire, andare a cercare chi non c’è, non si pone forse in prospettiva missionaria?

Perché non incitare, ad esempio, con maggior determinazione, i pochi giovani che frequentano le nostre parrocchie ad “uscire”, a cercare e a provare a coinvolgere nella propria esperienza i molti che non vi partecipano? Perché, ad esempio, non fare la stessa cosa con gruppi di adulti che disegnano la trama dell’associazionismo parrocchiale?
Tutto questo ed altro ancora – da inventare – dovrà avvenire, senza alcun dubbio, nel pieno rispetto della libertà di ciascuno, ma anche senza rinunciare ad annunciare il Signore in cui crediamo e a parlare della Chiesa alla quale apparteniamo.
Ci sono poi momenti, per lo più legati allo svolgersi di quella che chiamo vita “domestica” della parrocchia (battesimi, matrimoni, cresime, celebrazioni di sepolture…), dove si ha ancora la partecipazione di un buon numero di credenti anche se non sono praticanti.
Perché non potenziare queste occasioni di evangelizzazione?

Perché non valorizzare di più e meglio i laici proprio sul terreno della secolarità che loro compete e come “corresponsabili” di un unico progetto e non considerarli soltanto semplici “collaboratori”?
Come ulteriore espressione della missionarietà c’è anche – ed è tipico delle Unità Pastorali – il mettersi insieme fra parrocchie vicine per operare alcune scelte “sovra parrocchiali” missionarie di presenza cristiana nei luoghi in cui vive la gente spesso indifferente o distante o che non viene in parrocchia. Questo non è forse scegliere la missione?
In una parola: una parrocchia e una Unità Pastorale sono comunità missionarie quando stimolano tutti i battezzati (membri attivi o meno) ad essere “anima del mondo” (Lettera a Diogneto) e li sostengono con tutte le energie in questa che è la vera e propria impresa del cattolicesimo italiano oggi.  

Quanto ho affermato, per esemplificare e aprire nuovi spazi di pensiero e di azione, non intende sminuire o dimenticare altre forme di missionarietà ormai più diffuse e radicate nelle comunità come il sostegno alla missio ad gentes e ai nostri fidei donum, forme che vanno perseguite con rinnovato slancio.

c) Per “territorio” intendiamo l’habitat di parrocchie vicine che cooperano insieme e cioè relazioni, sistemi di vita, culture, luoghi d’incontro, istituzioni… che costituiscono la trama della vita quotidiana della gente che vi  abita.
La questione che sta alla base della costituzione delle Unità Pastorali è questa: quale relazione le comunità parrocchiali vicine possono insieme stabilire fra il vangelo che annunziano e la vita della gente sul proprio territorio? Vivono ciascuna per proprio conto? Si offrono al territorio come presenze indifferenti, estranee, una sorta di ospiti che non disturbano?
Come si muovono per cercare di integrare il vangelo con la vita della gente e la  vita della gente con il vangelo?
Alle Unità Pastorali si chiede di indicare soluzioni condivise fra parrocchie vicine, ognuna con le proprie originalità e diversità, per dare sostanza ad un progetto missionario comune e condiviso.

d) Infine per “ministerialità diffusa” tra parrocchie che configurano la stessa Unità Pastorale si intende il concreto aiuto di persone, di iniziative e di luoghi che una parrocchia più “ricca” di risorse e di esperienza può dare ad una vicina, ma che risulta più povera di risorse e di esperienza, per aiutarla a crescere nella prospettiva della comunione missionaria. Questo però deve avvenire senza sostituirla nella sua dimensione di parrocchia e  indipendentemente dal numero dei preti presenti. Le Unità Pastorali, infatti, incoraggiano al rispetto e alla promozione dell’identità di ogni comunità parrocchiale e non all’incorporazione delle parrocchie in una grande super parrocchia.
È palesemente evidente che queste e non altre sono “le carte” da  giocare per costruire nel tempo e con il contributo di tutti il soggetto Unità  Pastorale.  

Nel contesto della ministerialità diffusa vanno collocati e assumono particolare importanza i fedeli laici in quanto “corresponsabili” e non solo  collaboratori nella vita delle singole parrocchie dell’Unità Pastorale stessa.
Essi dovranno sempre più e meglio essere formati a tale corresponsabilità. A loro, infatti, spetta il compito ecclesiale di dare continuità alla vita e all’originalità della propria comunità, sempre, ma specialmente qualora essa non abbia più il parroco residente.

Tale interscambio di ministerialità laicali al servizio delle parrocchie della stessa Unità Pastorale – ma anche le stesse Unità Pastorali – non sono una nuova tecnica pastorale, né una operazione di ingegneria ecclesiale, ma bensì un ulteriore passo importante e decisivo in direzione della maturazione di una mentalità pastorale diversa che assuma queste quattro dimensioni come “impronta” del progetto pastorale condiviso tra le parrocchie dell’Unità Pastorale, e lo traduca in una prassi coerente secondo le energie, le risorse, i tempi di ciascuna parrocchia. Passo dopo passo, al ritmo dei passi possibili che ogni singola comunità può fare.  Dunque la strada è tracciata. I “punti” del cammino in cui le diverse parrocchie si verranno a trovare sono, necessariamente, diversi e diversificati. Non si richiede a tutti di fare contemporaneamente gli stessi passi, ma a tutte le parrocchie si chiede di mettersi sulla strada tracciata, di non rimanere al palo, di non andare avanti  con il “freno tirato”, ma di muoversi anche a passi lenti, forse ancora un po’  incerti, ma ben motivati e praticabili.  

1. Ogni parrocchia ha una identità da conservare
Ciascuna parrocchia manterrà la propria identità e curerà la propria pastorale ordinaria in dimensione più missionaria al proprio interno e favorirà tale azione in sinergia con le parrocchie vicine.
Le Unità Pastorali, infatti, non eliminano né la figura giuridica della parrocchia, né la responsabilità pastorale attribuita ai parroci, né, tantomeno, intendono intaccare l'autonomia amministrativa di ogni singola parrocchia.
Ogni singola parrocchia, quindi, mantiene la propria iscrizione nel registro delle persone giuridiche presso la Prefettura e i parroci, in qualità di legali rappresentanti, rimangono responsabili della pastorale, della direzione e dei negozi giuridici delle loro rispettive parrocchie.  L'amministrazione, compresi i registri parrocchiali, continua ad essere condotta separatamente nelle singole parrocchie.

Il Consiglio Pastorale Parrocchiale e il Consiglio Parrocchiale per gli Affari Economici rimangono normalmente in vigore nelle singole parrocchie  con i vigenti Statuti.
Nel caso che ad uno stesso parroco siano affidate più  parrocchie egli potrà costituire un Consiglio Pastorale che metta insieme –  secondo le attuali norme diocesane – i fedeli rappresentanti delle parrocchie a  lui affidate.

In ogni modo la parrocchia rimane il luogo primario, ma non unico, della cura pastorale della Chiesa. Sia l’ecclesiologia di comunione missionaria voluta dal Concilio e che è alla base di questo documento (Cfr. Prima Parte) sia l’esperienza di vita quotidiana personale e sociale chiedono con forza alle nostre comunità di rinnovarsi nella prospettiva di una maggiore attuazione dei principi ecclesiali di corresponsabilità e di sussidiarietà, specialmente fra i  laici.
Di conseguenza, come già affermavo nel precedente documento Orientamenti e Norme del 2003, è ormai non solo opportuna, ma necessaria una maggiore e più organica cooperazione pastorale tra parrocchie.
Chi intende continuare ad operare “in solitudine” non rende un buon servizio né alla crescita della propria vocazione, né alla propria parrocchia e meno ancora,  all’Unità Pastorale stessa e alla crescita umana e cristiana delle persone che  il Signore gli ha affidato.


Estratto dal documento: LE UNITA’ PASTORALI – Orientamenti e norme – ediz.  2009
Severino Card. Poletto Arcivescovo di Torino
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